Sentenza n. 252 del 1996

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SENTENZA N. 252

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 291 e 312, n. 2, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 21 novembre 1994 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Olivotti Adriano contro il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Bologna ed altri, iscritta al n. 676 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

Ritenuto in fatto

1.-- Nel procedimento promosso dal ricorso ex art. 111 Cost. di Adriano Olivotti avverso il decreto della Corte d'Appello di Bologna che aveva ritenuto non potersi far luogo all'adozione del maggiorenne Moreno Delfari, figlio del coniuge del ricorrente, in ragione della presenza di due figli minorenni nati dal matrimonio del ricorrente con la madre dell'adottando, la Corte di cassazione, con ordinanza del 21 novembre 1994, pervenuta alla Corte costituzionale il 15 settembre 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale:

a) "dell'art. 291 cod.civ., quale risulta dall'inter-vento operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 557 del 1988, nella parte in cui non prevede che possa aversi adozione di maggiorenne da parte di soggetto che abbia discendenti legittimi o legittimati in età minore, anche quando l'adottando sia figlio del coniuge dell'adottante e sia stabilmente inserito nel nucleo familiare facente capo a tale coppia";

b) "dell'art. 312, n. 2, cod.civ., nella parte in cui, limitando la funzione valutativa del tribunale alla convenienza dell'adozione per l'adottando, non riconosce a tale organo poteri idonei al compimento di un più complesso esame, demandando al giudice la valutazione degli interessi in campo e della obiettiva convenienza dell'adozione in rapporto al fine di rafforzamento dell'unità familiare".

L'ordinanza richiama preliminarmente la giurisprudenza di questa Corte che ha ammesso la possibilità di deroga al divieto di adozione di maggiorenne da parte di chi abbia figli legittimi o legittimati maggiori di età e consenzienti oppure incapaci di esprimere l'assenso perché interdetti o irreperibili (sentenze nn. 557 del 1988 e 345 del 1992). La questione di legittimità costituzionale dell'art. 291 cod. civ. mirante a rendere flessibile il divieto anche in presenza di figli minorenni è stata, invece, respinta dalla sentenza n. 53 del 1994 sul riflesso che la loro incapacità, diversamente da quella dell'interdetto, ha carattere di "predeterminata transito- rietà" tale da escludere che possa essere rimesso al giudice l'apprezzamento discrezionale dell'opportunità di prescindere dal loro assenso, anziché attendere che essi abbiano conseguito, con la maggiore età, la capacità di esprimerlo.

Ciò premesso, il giudice rimettente ritiene che l'ultima sentenza non precluda una soluzione diversa nel caso in cui l'adottando sia figlio del coniuge dell'adottante e conviva con i due coniugi e i figli minori nati dal loro matrimonio. In questo caso la rigidità del divieto contrasta con l'art. 3 Cost. sia sotto il profilo del principio di ragionevolezza, perché contraddice la logica della sentenza n. 557 del 1988, che ha aperto la procedura a più ampie valutazioni ponderate dei vari interessi da parte del giudice, sia sotto il profilo del principio di eguaglianza, perché impedisce che l'adozione di un maggiore di età, analogamente all'adozione di un minore nel caso particolare previsto dall'art. 44, primo comma, lett. b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, possa servire allo scopo di formalizzare un rapporto di fatto integrato nell'unità di una famiglia legittima rafforzando la coesione della famiglia medesima.

La questione sub b) è sollevata in via conseguenziale, considerato che la questione sub a) implica l'esigenza di una ponderazione di tutti gli interessi concorrenti nel caso da decidere, mentre l'art. 312 cod. civ., sul presupposto dell'impugnata valutazione legale che ammette l'adozione soltanto in assenza di figli legittimi minori, demanda al giudice soltanto la valutazione della convenienza dell'adozione per l'adottando.

2.-- Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata alla stregua della sentenza n. 53 del 1994.

Considerato in diritto

1.-- La Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 291 cod.civ., modificato dalla sentenza di questa Corte n. 557 del 1988, nella parte in cui non prevede la possibilità di adozione di un maggiorenne, da parte di chi abbia discendenti legittimi o legittimati in età minore, anche quando l'adottando sia figlio del coniuge dell'adottante e sia stabilmente inserito nella comunità familiare;

b) dell'art. 312, n. 2, cod.civ., nella parte in cui, limitando il potere valutativo del tribunale alla convenienza dell'adozione per l'adottando, non consente al giudice una valutazione complessiva di tutti gli interessi coinvolti dall'istanza di adozione.

2.-- La seconda questione è strumentale alla prima, sicché si tratta in realtà di due aspetti di un'unica questione. Essa è inammissibile.

La riforma del 1983 ha limitato l'adozione regolata dal codice civile alle persone maggiori di età, rivalutandone in pari tempo la funzione originaria di procurare un figlio a chi non l'ha avuto da natura mediante il matrimonio (adoptio in hereditatem). Coerentemente con tale funzione l'art. 291 cod.civ. vietava l'adozione di un maggiorenne da parte di chi abbia figli legittimi o legittimati. Deviando dalla logica dell'istituto, la sentenza n. 557 del 1988 di questa Corte ha temperato il divieto ammettendo l'adozione anche in presenza di figli maggiorenni e consenzienti, e un ulteriore temperamento è stato portato dalla sentenza n. 345 del 1992, che nel caso di incapacità dei figli di esprimere l'assenso perché interdetti ha ritenuto applicabile per analogia l'art. 297, secondo comma, così estendendo a questo caso il potere di valutazione comparativa degli interessi in gioco attribuito dalla norma al tribunale.

Secondo il giudice rimettente, nello spirito di tale giurisprudenza, che ha aperto l'istituto dell'adozione civile a funzioni diverse da quella primaria, con conseguente introduzione nella procedura di ulteriori momenti valutativi, il divieto dell'art. 291 dovrebbe diventare flessibile anche in presenza di figli minorenni quando, come nella specie, l'adottando (maggiorenne) sia figlio del coniuge dell'adottante e sia stabilmente inserito nel consorzio familiare. In questo caso particolare la rigidità del divieto di adozione - confermata in generale dalla sentenza n. 53 del 1994, ma in relazione a un caso non qualificato dal rapporto di filiazione dell'adottando col coniuge dell'adottante - è reputata contrastante con i principi di razionalità e di eguaglianza in base al confronto con l'art. 44, primo comma, lett. b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, il quale, pur in presenza di figli legittimi e indipendentemente dal loro assenso, allo scopo di favorire il rafforzamento dell'unità della famiglia consente l'adozione di un minorenne, con i medesimi effetti dell'adozione del codice civile, quando sia figlio del coniuge dell'adottante.

3.-- Lo stesso giudice rimettente avverte che il tertium comparationis addotto a sostegno della denunciata violazione dell'art. 3 Cost. prolunga la questione di costituzionalità sul piano processuale coinvolgendo l'art. 312 cod.civ., in quanto limita la funzione valutativa del tribunale (ordinario) alla convenienza dell'adozione per l'adottando, mentre nel caso di adozione di un minore, evocato quale termine di confronto, la legge n. 184 del 1983 - come si argomenta dall'art. 55, che non richiama l'art. 312 cod.civ. - rimette al tribunale dei minorenni la valutazione ponderata dell'interesse dei figli in rapporto agli altri interessi messi in gioco dall'istanza di adozione.

Sotto questo profilo la questione prospetta un intervento additivo della Corte eccedente la sfera dei suoi poteri. Invero, mentre nel caso che ha dato luogo alla sentenza n. 345 del 1992 era reperibile nell'art. 297 cod.civ. un modello legale idoneo a fondare l'attribuzione al giudice del potere di valutare l'opportunità di concedere l'adozione pur in mancanza dell'assenso del figlio dell'adottante, incapace di esprimerlo perché interdetto, nel caso ora in esame si chiede alla Corte un intervento di tipo diverso, non fondato sul presupposto dell'incapacità dei figli minori di esprimere il loro assenso, bensì escludente tale requisito (analogamente all'art. 44, secondo comma, della legge n. 184 del 1988), così configurando un nuovo caso, che solo il legislatore può ammettere, di deroga alla competenza funzionale del tribunale dei minorenni in ordine alla valutazione dell'interesse di questa categoria di soggetti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 291 e 312, n. 2, del codice civile, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1996.